BIVONGI (RC)

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Le cascate del Marmàrico

Dopo l'«ascetica» pausa-pranzo a Serra San Bruno, ci rimettiamo in macchina imboccando la SS 110 che ci porta sul versante jonico. Attraversiamo un territorio montagnoso (siamo ben oltre i mille metri sul livello del mare) in cui i boschi si alternano ai prati. La nostra destinazione è il comune di Bivongi dove si trovano le cascate del Marmàrico, le più alte della Calabria e di tutto l'Appennino meridionale.





Sul versante jonico la strada scende abbastanza ripidamente e il panorama è veramente spettacolare: il mare già s'intravede in lontananza, ma la nostra attenzione si concentra particolarmente sui rilievi montuosi granitici, aspri e imponenti.
Poco prima del bivio per Bivongi attraversiamo il piccolo borgo di Pazzano, il cui centro abitato è sovrastato da un edificio che è costituito da una serie di tronchi di cono sovrapposti: è molto strano e ricorda la torre di Babele o un minareto islamico. Non sappiamo cosa sia, ma forse è un manufatto collegato alle miniero di ferro che una volta abbondavano nella zona, al punto che, sotto i Borboni, Pazzano era il principale centro d'estrazione del ferro del meridione.

Appena un paio di chilometri più sotto, arriviamo a Bivongi, che ha appena 1100 abitanti ma che ci accoglie pomposamente con una scritta a caratteri cubitali sulla collina, che, in modo un po' megalomane, vuole forse imitare la scritta "Hollywood" che campeggia a Los Angeles.

Bivongi si trova nella vallata del fiume Stilaro, che è proprio quello che, alcuni chilometri più a monte, forma le cascate del Marmàrico.
Come Pazzano, anche Bivongi era un'area mineraria. Qui, oltre al ferro, veniva estratto il molibdeno, uno dei metalli impiegati per la realizzazione dell'acciaio, grazie al suo punto di fusione che è tra i più elevati.

Noi ci rechiamo alla "Vecchia Miniera", che - per nostra fortuna - è un ristorante in aperta campagna da dove partono le escursioni verso le cascate.
Giungiamo al ristorante verso le tre di pomeriggio e non c'è nessuno se non la proprietaria e una cagnetta un po' rimbamita (che ricorda Rantanplan, il cane di Lucky Luke).Chiediamo come fare per arrivare alle cascate e la signora prontamente ci chiama una guida. Infatti, la strada lungo l'alto corso del fiume Stilaro è particolarmente scoscesa; solo una jeep 4x4 è in grado di percorrerla, per giunta con qualche difficoltà. L'escursione costa 35€ ma ne vale la pena. La guida si chiama Fabio ed è un tipico figghiolu calabrese, tenebroso e di poco parole. Riteniamo che sia il genero della padrona del ristorante: praticamente non apre bocca e risponde alle nostre domande con frasi che sono poco più di monosillabi. Fuma in continuazione e porta una cappello che, più che la coppola 'ndranghetista, ricorda il panama di Humphrey Bogart. Se non altro ha buon gusto nella scelta musicale, dato che durante il tragitto verso le cascate abbiamo ascoltato da Mika ai Dire Straits, passando per... Mimmo Cavallaro e la sua band di tarantella calabrese!

Il tragitto dal ristorante Vecchia Miniera al punto più vicino alle cascate dura poco meno di mezz'ora. La strada, incredibilmente dissestata, in certi punti ricorda proprio una mulattiera delle Ande: alla nostra sinistra c'è una parete ripidissima e altissima; alla nostra destra c'è un baratro pauroso che precipita per centinaia di metri... Avevo visto qualcosa di simile in Costa Rica nel 1992, ma in Italia mai! Tra l'altro la carreggiata è molto stretta. Io e Vincenzo ci domandiamo cosa succederebbe se incrociassimo un'altra macchina procedente in senso opposto al nostro, ma non osiamo porre tale quesito a Fabio, che continua a fumare e a guidare.
Il nostro jeeppone si ferma in un piccolo spiazzale appena sufficiente a fare inversione di marcia. Fabio ci dice che ci aspetterà per circa un'ora e mezza e ci indica il percorso rimanente per arrivare alle cascate: sono altri venti minuti a piedi...
Venti minuti... Una bazzecola; tuttavia il sentiero comincia al di là della stretta gola dello Stillaro e per raggiungerlo bisogna oltrepassare un ponticello in cemento che... Be', per essere solido, è solido; però è molto angusto, e l'acqua tumultuosa che rimbomba di sotto, muovendosi turbinosamente, mi crea un forte senso di vertigine. Dopo aver "pasquinato" un poco, mi "aggancio" a Vincenzo, attraversando il ponte a occhi chiusi... Mi domando cosa farò in Malesia quando si tratterà di affrontare dei ponti di cordame ben più traballanti... Meglio non pensarci!

Be', in un modo o nell'altro, eccoci sulla classica... «altra sponda» (è il caso di dirlo!). Prima di lasciarci Fabio ci ha consigliato di tenere sempre il fiume sula nostra destra e così facciamo.
Risaliamo verso le cascate seguendo un sentierino tra muschi e felci che un po' ci ricorda la Hoh Rain Forest, nello stato di Washington, solo che qui non ci sono vampiri: al massimo un lupacchiotto dela Sila in linera uscita!
Mentre seguiamo il sentierino e i nostri pensieri americani,... smarriamo la retta via!
Il fatto è che una frana, causata dalle settimane precedenti, ha spazzato via il percorso e adesso ci ritroviamo come le formiche che da piccoli disorientavamo "tagliando" col dito la loro strada.
Proviamo su, proviamo giù... Niente: non riusciamo proprio a proseguire! Si passa alle decisioni radicali: ci togliamo scarpe e calze e entriamo a piedi nudi nell'acqua. La immaginavo gelida, invece, forse per l'adrenalina, l'acqua non sembra particolarmente fredda. Comunque rimpiangiamo di aver lasciato in macchina gli stivali, che pure avevamo appositamente comprato al Decathlon di Rosarno!
Niente da fare: il fiume diventa troppo profondo. Anche questo tentativo fallisce. Torniamo indietro e passiamo al piano-radicale-n.2: attraversamento dei rovi!
Provo a tagliare uno sperone roccioso passando per la riva coperta da spine e rovi di tutti i tipi, e dopo aver rovinato alquanto i pantaloni della tuta, desisto anche stavolta. Uffa!

Siamo un po' disorientati, anche perchè le cascate sono dietro l'ansa del fiume e non vogliamo tornare senza averle viste. Così m'inerpico verso l'alto e... sorpresa! Ritrovo il sentierino che la frana aveva tagliato proprio nel punto in cui, evidentemente, deviava verso l'alto. Seguiamo il sentiero e...

... e, dopo tanto tribolare, eccoci alla mèta! Siamo stanchi, graffiati, umidicci ma contenti per essere riusciti nell'impresa.
Ammiriamo le cascate col naso all'insù: il salto compiuto dall'acqua è di 114 metri. Il nome "Marmàrico" è una parola di origine dialettale calabrese e significa "lento" o "pesante", probabilmente dall'impressione che l'acqua, seppure in perenne caduta, sembri apparentemente formare dei filamenti quasi immobili.

Purtroppo possiamo restare ai piedi della cascata solo una decina di minuti. L'avere smarrito il sentiero ci ha fatto perdere del tempo prezioso e siamo già in ritardo rispetto all'orario concordato con Fabio.
Torniamo verso la jeep che ci riporterà al ristorante Vecchia Miniera e stavolta seguire il sentiero è molto facile. Incontriamo un gruppetto di escursionisti che hanno percorso a piedi i 7 km che separano le cascate dal paese di Bivongi. Sono molto cordiali e uno di loro ci regala una pagnottina ai semi di sambuco fatta in casa, dandoci dei consigli su come arrivare qui la prossima volta. Li salutiamo calorosamente, convinti che una "prossima volta" effettivamente ci sarà!

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