UTAH 2006
USA
20 luglio - 8 agosto

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NATURAL BRIDGES

La piacevole sorpresa che non ti aspetti: il «Natural Bridges National Monument». Lasciamo Moab dopo una permanenza di tre giorni, e ci spostiamo verso sud lungo la highway 191. Oltrepassiamo la cittadina di Monticello, pulita, ordinata e silenziosa, come tutte le altre del resto. A Blanding siamo sorpresi dalla cortesia di una donna; ci ha visto mentre consultiamo la cartina stradale, dopo aver accostato al margine del giardinetto che circonda la sua casa: si precipita fuori chiedendoci in cosa possa esserci utile!
Proseguiamo ancora verso sud per qualche miglio, fino a imboccare una highway secondaria: la 95 che ci porterà appunto al «Natural Bridges National Monument».

Si tratta di un tragitto che non fa parte del tour classico percorso dalla maggior parte dei turisti, tant'è che la strada è tra le più deserte da noi attraversate. Incontriamo solo una famiglia quando ci fermiamo per il pranzo presso un sito archeologico: sono le rovine di un antico insediamento di indiani Anasazi.

Al «Natural Bridges Park» le maggiori attrazioni, i "ponti naturali", si trovano in fondo a una vallata formatasi nel White Canyon, per cui, una volta tanto, lasciata la macchina al parcheggio, cominciamo a scendere anzichè a salire. Al Visitor Center leggiamo un cartello che ci invita a prestare attenzione non solo ai serpenti a sonagli ma persino ai miti roditori (compresi gli scoiattoli) poichè hanno delle pulci col virus della peste bubbonica (!). Vincenzo, ovviamente, comincia a protestare: "A me a scuola i Promessi Sposi neanche piacevano!"

Reminiscenze manzoniane a parte, tutta l'area è uno dei posti più belli dell'intero viaggio - almeno per me. Il parco è molto più verde della media, e poichè pochi lo conoscono, mi fa sentire orgoglioso per averlo scoperto!
In fondo alla stretta gola scorre un affluente del Colorado. Il sentiero è ricavato lungo una sporgenza rocciosa che a tratti è molto esigua. La parete sopra di noi in alcuni punti tende a sovrastarci, quasi a formare un tetto: ci si sente veramente "in casetta", e questa sensazione dovettero averla pure gli indiani Anasazi, che qui piazzarono uno dei loro insediamenti.

Si continua a scendere per uno dei percorsi che Vincenzo classificherà tra i più ardui. E, in effetti, i "pasquinamenti" si sprecano!
E' un susseguirsi di: "Io-lo-sapevo!"
E poi: "Ma-proprio-qui-gli-indiani-dovevano-venire-a-stare!"

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Comunque, riusciamo ad arrivare "quasi" in fondo. Davanti a noi il possente «Sipapu Bridge». Non bisogna confondere un "arco" con un "ponte": l'arco è formato dall'azione erosiva degli agenti atmosferici (pioggia e vento), mentre un ponte nasce a seguito dell'erosione di un corso d'acqua che scorre.

Nel parco esistono in tutto tre ponti naturali: oltre al «Sipapu Bridge», c'è il «Kachina Bridge» (foto a sinistra) e l'«Owachomo Bridge», che ci limitiamo a vedere da lontano.
Riprendiamo il viaggio: la meta finale è Mexican Hat, dove dobbiamo ancora trovare un posto per dormire, ma lungo la strada c'è ancora tempo per un'escursione veramente meravigliosa...

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