NATURAL BRIDGES
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La piacevole sorpresa che non ti aspetti: il «Natural Bridges National Monument». Lasciamo Moab dopo una permanenza di tre giorni, e ci spostiamo verso sud lungo la highway 191. Oltrepassiamo la cittadina di Monticello, pulita, ordinata e silenziosa, come tutte le altre del resto. A Blanding siamo sorpresi dalla cortesia di una donna; ci ha visto mentre consultiamo la cartina stradale, dopo aver accostato al margine del giardinetto che circonda la sua casa: si precipita fuori chiedendoci in cosa possa esserci utile!
Proseguiamo ancora verso sud per qualche miglio, fino a imboccare una highway secondaria: la 95 che ci porterà appunto al «Natural Bridges National Monument».
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Si tratta di un tragitto che non fa parte del tour classico percorso dalla maggior parte dei turisti, tant'è che la strada è tra le più deserte da noi attraversate. Incontriamo solo una famiglia quando ci fermiamo per il pranzo presso un sito archeologico: sono le rovine di un antico insediamento di indiani Anasazi.
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Al «Natural Bridges Park» le maggiori attrazioni, i "ponti naturali", si trovano in fondo a una vallata formatasi nel White Canyon, per cui, una volta tanto, lasciata la macchina al parcheggio, cominciamo a scendere anzichè a salire. Al Visitor Center leggiamo un cartello che ci invita a prestare attenzione non solo ai serpenti a sonagli ma persino ai miti roditori (compresi gli scoiattoli) poichè hanno delle pulci col virus della peste bubbonica (!). Vincenzo, ovviamente, comincia a protestare: "A me a scuola i Promessi Sposi neanche piacevano!"
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Reminiscenze manzoniane a parte, tutta l'area è uno dei posti più belli dell'intero viaggio - almeno per me. Il parco è molto più verde della media, e poichè pochi lo conoscono, mi fa sentire orgoglioso per averlo scoperto! In fondo alla stretta gola scorre un affluente del Colorado. Il sentiero è ricavato lungo una sporgenza rocciosa che a tratti è molto esigua. La parete sopra di noi in alcuni punti tende a sovrastarci, quasi a formare un tetto: ci si sente veramente "in casetta", e questa sensazione dovettero averla pure gli indiani Anasazi, che qui piazzarono uno dei loro insediamenti.
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Si continua a scendere per uno dei percorsi che Vincenzo classificherà tra i più ardui. E, in effetti, i "pasquinamenti" si sprecano! E' un susseguirsi di: "Io-lo-sapevo!"
E poi: "Ma-proprio-qui-gli-indiani-dovevano-venire-a-stare!" |
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Comunque, riusciamo ad arrivare "quasi" in fondo. Davanti a noi il possente «Sipapu Bridge». Non bisogna confondere un "arco" con un "ponte": l'arco è formato dall'azione erosiva degli agenti atmosferici (pioggia e vento), mentre un ponte nasce a seguito dell'erosione di un corso d'acqua che scorre.
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Nel parco esistono in tutto tre ponti naturali: oltre al «Sipapu Bridge», c'è il «Kachina Bridge» (foto a sinistra) e l'«Owachomo Bridge», che ci limitiamo a vedere da lontano. Riprendiamo il viaggio: la meta finale è Mexican Hat, dove dobbiamo ancora trovare un posto per dormire, ma lungo la strada c'è ancora tempo per un'escursione veramente meravigliosa...
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