ABU DHABI

THAILANDIA
&
CAMBOGIA

8 - 29 dicembre 2013

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KAMPHONG PHLUK (2/2)

Rimango a lungo a godermi questa lotta muta, immobile solo in apparenza; intorno soltanto i suoni della foresta. Dopo un po' una scultura grigia, rannicchiata alla base di uno stipite sembra muoversi, lentamente. Di fronte a situazioni inusuali, la mente dà risposte imprevedibili, fa apparire mostri in fondo ai laghi, muta animali in uomini. Mi avvicino con cautela. Non era pietra, ma un custode che mi guarda senza espressione, come l'Avatar di un videogioco. Senza parlare, fa un cenno e si avvia lungo il cornicione esterno. Lo seguo meccanicamente lungo un percorso quasi obbligato, arrampicandomi su cumuli di pietre crollate, di livello in livello, aumentando il grado di difficoltà. I cortili interni sono colmi di pietre crollate, qualche stupa ha ceduto definitivamente alle forze preponderanti del bosco, altri sembrano precariamente in bilico, pochi resistono con sereno orgoglio. Giriamo a lungo nell'interno del tempio, secondo un percorso apparentemente casuale, ma forse obbligato. Di tanto in tanto, il mio Virgilio si ferma, mi indica un portale un po' nascosto, una statua che emerge a fatica tra le rovine, oppure semplicemente guarda uno scorcio, come colpito egli stesso, che qui ci vive, da questa bellezza straordinaria. Poi abbassa la testa e si riavvia.

Non mi sono accorto, ma sono già passate due ore quando ci ritroviamo ad un altro varco del muro di cinta. Lui si ferma, è arrivato ai confini del suo mondo e mi libera, previa mancetta, per lasciarmi tornare nel mio. Giro un po' nel villaggio; c'è una piccola scuola gremita di ragazzini che si scopre essere un orfanotrofio. Vorrei entrare a dare un'occhiata, ma una americanotta tarchiata all'ingresso, mi fa capire che non è 'ccosa, anche se i ragazzi, dal cortile, mi salutavano con gran vigore. Così torno a risvegliare il mio Caronte unghiuto. Altre due ore per una cinquantina di chilometri per raggiungere un sito ancora più selvatico. Koh Ker, l'antica capitale abbandonata da oltre mille anni nelle foreste del nord. Su un'area di 30 chilometri quadrati rimangono una quarantina di templi ancora incredibilmente ben conservati. Per ogni piccolo quadrante un rassicurante cartello che indica il paese che ha partecipato allo sminamento, questa era una delle aree più ricche di questi deliziosi oggetti. Non sto più a tediarvi sul fascino di queste costruzioni, nascoste tra gli alberi, ognuna da ricercare nel bosco tra le radure con qualche capanna qua e là.

Nel tempio più grande, una immensa piramide grigia, incontro diversi bambini che tornano da scuola con una gran voglia di famigliarizzare col naso lungo. Faccio la consueta distribuzione di biro, sempre apprezzatissime, ricordatevene, quando andate in questi luoghi, e percorro chilometri a piedi. Anche il caldo sembra mordere meno o forse sarà la magia del posto che non lo fa sentire. Comunque andarsene è difficile, ma mancano ancora un paio di orette per arrivare a Stoung, la mia meta di questa sera, dove mi aspettano gli amici, che hanno quasi finito il loro lavoro all'acquedotto locale. Altro che sognare nella jungla. Lì c'è gente che ha sete, qui invece si chiacchiera soltanto.

Un po' mi sento in colpa, ma quando arrivo alla Guesthouse Sokimec, davanti al distributore, sono talmente stanco che neanche mi accorgo che non c'è ancora corrente e le pale del ventilatore cominceranno a girare, forse, tra un paio d'ore. Non 'c'è neanche il lavandino, né lo sciacquone, anche se hanno appena montato una tazza nuova di pacca, ma la casseruola di plastica dentro al secchiellone pieno funge benissimo e poi per 4 dollari a notte cosa pretendi.

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