MALESIA & BRUNEI9 luglio - 6 agosto 2011

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GUNUNG MULU NP

Dopo aver visitato la Lang Cave e la Deer Cave, eccoci nella Wind Cave: la grotta del "vento" è così chiamata perchè al suo interno c'è un ambiente in cui soffia una brezza fresca, segno che c'è un'apertura da qualche parte che però non è raggiungibile.
All'interno della Wind Cave c'è la King's Chamber: la stanza "reale, è così chiamata perchè è un vero e proprio trionfo di stalattiti e stalagmiti di mille forme, alcune veramente molto alte ed esili.
Mi colpisce un particolare: una turista malese, non lontano dall'entrata della grotta, chiacchiera tranquillamente col suo cellulare... Ma come??? Qui dentro c'è segnale? Poi mi rendo conto che la risposta è ovviamente "sì"... Non per niente siamo dentro la "Wind Cave"!!!

La grotta successiva non è la... "Vodafone Cave" (!) ma la Clearwater Cave. La raggiungiamo agevolmente a piedi, percorrendo una passerella di legno costruita a metà del costone roccioso. L'ambiente è veramente suggestivo: sulla sinistra, una trentina di metri più sotto, score il Melinau River; a destra - ma sarebbe meglio dire "su di noi" - incombe una parete rocciosa calcarea dove camminiamo tra stalattiti e piante che sembrano capelvenere ma che in realtà sono un genere chiamato "Monophyllae" che cresce solo nel Sarawak ed ha ottime proprietà medicinali. Veramente bello.

L'ingresso della Clearwater Cave è molto spettacolare: un'enorme voragine si apre sotto di noi e ricorda ciò che nell'immaginario sembra l'ingresso del'inferno dantesco. Impressionano sia la vastità dell'ambiente ipogeo, sia le dimensioni delle formazioni calcaree che pendono dal soffitto della grotta: sono stalattiti davvero gigantesche.

Usciamo definitivamente dalla Clearwater Cave. E' già ora di pranzo e ci rifocilliamo con il pranzo a sacco che abbiamo acquistato al ristorante del «Mulu National Park». Mangiamo in una pic-nic area attrezzata in prossimità di un'ansa del Melinau River, dove parecchi rumorosi turisti orientali, dall'età media di 50 anni, sguazzano e si schizzano come bimbi.
Dopo pranzo riprendiamo la navigazione, risalendo il fiume. Purtroppo, però, essendo la stagione secca, il Melinau River, in molti tratti è poco profondo, al punto che dobbiamo scendere dalla barca e... spingerla!

Le due guide malesi sono dei tappetti tutti-muscoli che saltano su e giù dalla piroga come se niente fosse. I due tizi olandesi sembrano un concentrato d'energia che per professione fanno gli... "spingitori di barche". Insomma, si è già capito: io e Vincenzo facciamo la figura degli imbranati di turno... Uffa! Io, da bravo maratoneta, dovrei trovare agevole spingere la barca. Ma così non è! Nonostante indossiamo delle scarpe comprate al Decathlon proprio per camminare in acqua, non riusciamo affatto a tenere il passo. In pratica, noi con le scarpe senza spingere, restiamo indietro rispetto agli altri che senza scarpe spingono!

Per un po' faccio finta di spingere anch'io; poi, smetto persino di fingere. Invito Vincenzo a fare altrettanto, ma non mi dà retta e puntualmente mi ritrovo con un... "ipocucciolo", per usare il termine efficacissimo coniato con Annamaria.
Comunque, dopo un'ora circa di sali-e-scendi dalla piroga arriviamo presso uno scassatissimo approdo, dove una parvenza di molo, sicuramente non più grande di una pila per lavare i panni, segna la fine della navigazione.
Siamo alquanto esausti e talmente stufi della piroga che la prospettiva di dover percorrere 9 chilometri di jungla non è affatto sgradevole. A questo punto le due guide malesi tornano indietro e noi quattro siamo lasciati a noi stessi: indossiamo delle scarpe asciutte e un abbigliamento più adatto all'attraversamento di una foresta piena d'insetti. Il tragitto è completamente pianeggiante (salvo una collinetta da aggirare di non più di 20 metri) e non offre particolari difficoltà, salvo il fatto che questo tratto di jungla è famoso per le famigerate sanguisughe! Vincenzo, infatti, indossa dei pantaloni lunghi. Io sono indeciso; poi opto per i pantaloncini corti. Le sanguisughe?!? Ma chi se ne frega!

Impieghiamo quasi due ore per percorrere i 9 chilometri di foresta, oltrepassando dei corsi d'acqua su ponti sospesi, scattando foto e bevendo sorsi d'acqua, con parsimonia, visto che la scorta di bottiglie che portiamo negli zaini deve durarci due giorni.
E le sanguisughe? Il colmo: io e i due Olandesi, che abbiamo le gambe scoperte, non ne vediamo l'ombra. Vincenzo, invece, poverino, viene beccato quando già sentiamo il rumore del generatore del Camp 5; in pratica, una sanguisuga gli si appiccica sulla caviglia a 100 metri appena dalla nostra mèta!
Le sanguisughe non sono pericolose. Ovviamente dànno solo un po' di fastidio e, oltre alla puntura, va tenuto conto la sensazione poco gradevole di trovarsi addosso una cosa viscida e umidiccia! Semmai, l'aspetto più antipatico è costituito dal fatto che la ferita causata dalla sanguisuga continua a sanguinare per parecchio tempo, perchè il simpatico animaletto contiene nella sua saliva un anticoagulante naturale che ostacola l'azione delle piastrine. Vincenzo ha impiegato quasi mezz'ora per arrestare il rivoletto di sangue dalla sua caviglia!

E' stata una giornata veramente intensa: dall'emozione di un vero villaggio Penan, alla piroga da spingere, per finire con la sanguisuga... Comunque, eccoci al Camp 5. Abbiamo veramente fame, così attingiamo allo zaino con le provviste per prepararci una cenetta utilizzando la cucina in comune.
La cucina è ben fornita e si può usare tutto, a condizione che si lavi ciò che si è utilizzato. L'atmosfera richamo un po' il campeggio: c'è parecchia gente (saremo una quarantina di persone). La maggior parte sono Malesi o Cinesi, ma c'è qualche Australiano e una scolaresca di tardo-adolescenti Inglesi. Io e Vincenzo siamo gli unici Italiani.

La preparazione della cena al Camp 5.

E finalmente arrivo il gran giorno della scalata del Gunung Mulu. La sveglia è alle 05:30 perchè bisogna fare una ricca colazione per partire non oltre le 06:30. il nostro spuntino mattutino è alquanto classico: latte e cereali per Vincenzo, del tè con pane e marmellata per me. Guardiamo alquanto allibiti la colazione dei Cinesi che, alle sei di mattina, ingurgitano montagne di riso e frittata!

La scalata del Gunung Mulu è stata senza dubbia l'impresa fisicamente più impegnativa della nostra vita. L'abbiamo sottovalutata? Forse un po'. In effetti sulla carta non sembra particolarmente micidiale: si tratta di percorrere 2,4 chilometri in salita nella jungla, con un'elevazione di 1200 metri. Due-virgola-quattro-chilometri sono un'inezia per un maratoneta come me o per un amante della cyclette come Vincenzo. E che ci vorrà mai?!? D'accordo: siamo in salita, siamo nella jungla, siamo con un'umidità del 100%... ma sono solo 2,4 km!!!
Dalla teoria alla pratica la differenza è notevole. Il sentiero è ben tracciato solo all'inizio; dopo i primi tornanti si deve seguire une flebile traccia che richiede parecchio impegno affinchè non si esca fuori pista. Ogni cento metri c'è un cartello di legno che indica la parte già percorsa: ancora oggi non mi spiego come mai da un cartello al successivo (quindi, per percorrere "solo" 100 metri!) non abbiamo impiegato mai meno di venti minuti.
Sembra la foresta di Mythago Wood, nella quale il tempo e lo spazio si dilatano in continuazione. Alle 06:30 partono diversi gruppetti, ciascuno con la propria guida. Noi siamo in cinque, considerando i due Olandesi e la guida. Vincenzo scivola, sbatte, inciampa, riscivola, risbatte, ri-inciampa... Ben presto i due Olandesi decidono di proseguire col loro passo più spedito, mentre noi arranchiamo. Siamo poco oltre la metà che già l'acqua scarseggia. Io non bevo più lasciando la parte rimanente a Cucciolo che, dal canto suo continua a scivolare, sbattere, inciampare ma, suo malgrado, avanza stoicamente.
Sono le 10:15 quando vediamo il cartello che indica che abbiamo percorso 2 chilometri. Due chilometri in quasi quattro ore!!! Incredibile!!! Subito dopo scorgiamo un cartello rosso che indica che gli ultimi 400 metri sono i più ardui e che - se sono passate le 11:00 - non è consentito proseguire perchè non si farebbe più in tempo a tornare al campo-base prima del tramonto. Be', per quanto esausti e assetati, siamo orgogliosi di essere arrivato a questo punto con tre quarti d'ora d'anticipo (quasi 4 ore per due chilometri... Ancora oggi non riesco a crederci!)...

Gli ultimi 400 metri sono davvero tremendi: bisogna arrampicarsi con delle funi, passare lungo dei ponticelli fatti da una trave larga non più di 10 centimetri, fare uso di mani e piedi che finiscono in anfratti dove è meglio non pensare quale animale si potrebbe toccare (si va dai ragni, ai serpenti, agli scorpioni,...).
Ma comunque, tra un "pasquinamento vincenzino" e un metti-il-piede-lì-anzi-no-mettilo-là-che-è-meglio, non si sa come, non si sa perchè, poco dopo mezzogiorno arriviamo in vetta al Gunung Mulu e riusciamo a vedere i famosi pinnacles, i pinnacoli di calcare, alti fino a 45 metri che si ergono come una foresta di pietra nella foresta di alberi.

Gli indigeni chiamano questo posto anche "Gunung Api", cioè "montagna del fuoco", poichè considerano i pinnacoli come delle fiamme pietrificate dagli dèi.
Siamo veramente stanchi e per certi versi rimpiangiamo la colazione di riso e frittata dei Cinesi; Vincenzo è particolarmente esausto e si siede al riparo di un cespuglio. Non so se dirgli che ho captato da un ragazzo inglese che lì vicino è appena stato avvistato un grosso pitone... Be', velenoso non è,... quindi è meglio che Vincenzo recuperi le forze. Non avvistiamo altri animali, se non un gruppetto di scoiattoli alquanto spelacchiati...

In cima al Gunung Mulu restiamo solo pochi minuti; non c'è molto tempo, poichè la discesa si preannuncia altrettanto difficile. E l'aspettativa viene pienamente mantenuta: Vincenzo continua a scivolare, sbattere, inciampare, ma alla fine, stringendo i denti, ce la fa. Siamo gli ultimi a rientrare al Camp 5 e l'applauso che ci accoglie a pomeriggio inoltrato ci fa un po' arrossire, ma va interpretato come il giusto riconoscimento per chi ha compiuto una grande impresa. Davvero grande!
Durante la nostra seconda notte al Camp 5 dormiamo come ghiri, anche se siamo in una delle sistemazioni più spartane mai provate: si dorme tutti insieme su dei tavolati dove ci sono dei materassini spessi appena pochi centimetri. Abbiamo dovuto portare noi le nostre coperte (in realtà sono quelle donataci dalla Qatar Airways), che poi abbiamo deciso di lasciare lì a vantaggio di chi ci avrebbe seguito.


Dopo l'esperienza intensa al Camp 5, rifacciamo a ritroso il percorso di due giorni prima: 9 km di jungla (stavolta niente sanguisughe, ma ennesima caduta di Vincenzo nell'unico - dico unico! - montarozzo di non più di 10 metri da superare), ponti sospesi, trasferimento in piroga verso il quartier generale del parco.
Visto che siamo reduci da due notti in un'accomodation da "zero stelle", decidiamo di trattarci bene e prenotiamo nel bungalow migliore a disposizione... Siamo a pezzi ma adesso comincia il relax!

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