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GUNUNG MULU NP
Dopo aver visitato la Lang Cave e la Deer Cave, eccoci nella Wind Cave: la grotta del "vento" è così chiamata perchè al suo interno c'è un ambiente in cui soffia una brezza fresca, segno che c'è un'apertura da qualche parte che però non è raggiungibile. |
La grotta successiva non è la... "Vodafone Cave" (!) ma la Clearwater Cave. La raggiungiamo agevolmente a piedi, percorrendo una passerella di legno costruita a metà del costone roccioso. L'ambiente è veramente suggestivo: sulla sinistra, una trentina di metri più sotto, score il Melinau River; a destra - ma sarebbe meglio dire "su di noi" - incombe una parete rocciosa calcarea dove camminiamo tra stalattiti e piante che sembrano capelvenere ma che in realtà sono un genere chiamato "Monophyllae" che cresce solo nel Sarawak ed ha ottime proprietà medicinali. Veramente bello. |
L'ingresso della Clearwater Cave è molto spettacolare: un'enorme voragine si apre sotto di noi e ricorda ciò che nell'immaginario sembra l'ingresso del'inferno dantesco. Impressionano sia la vastità dell'ambiente ipogeo, sia le dimensioni delle formazioni calcaree che pendono dal soffitto della grotta: sono stalattiti davvero gigantesche. |
Usciamo definitivamente dalla Clearwater Cave. E' già ora di pranzo e ci rifocilliamo con il pranzo a sacco che abbiamo acquistato al ristorante del «Mulu National Park». Mangiamo in una pic-nic area attrezzata in prossimità di un'ansa del Melinau River, dove parecchi rumorosi turisti orientali, dall'età media di 50 anni, sguazzano e si schizzano come bimbi. |
Le due guide malesi sono dei tappetti tutti-muscoli che saltano su e giù dalla piroga come se niente fosse. I due tizi olandesi sembrano un concentrato d'energia che per professione fanno gli... "spingitori di barche". Insomma, si è già capito: io e Vincenzo facciamo la figura degli imbranati di turno... Uffa! Io, da bravo maratoneta, dovrei trovare agevole spingere la barca. Ma così non è! Nonostante indossiamo delle scarpe comprate al Decathlon proprio per camminare in acqua, non riusciamo affatto a tenere il passo. In pratica, noi con le scarpe senza spingere, restiamo indietro rispetto agli altri che senza scarpe spingono! |
Per un po' faccio finta di spingere anch'io; poi, smetto persino di fingere. Invito Vincenzo a fare altrettanto, ma non mi dà retta e puntualmente mi ritrovo con un... "ipocucciolo", per usare il termine efficacissimo coniato con Annamaria. |
Impieghiamo quasi due ore per percorrere i 9 chilometri di foresta, oltrepassando dei corsi d'acqua su ponti sospesi, scattando foto e bevendo sorsi d'acqua, con parsimonia, visto che la scorta di bottiglie che portiamo negli zaini deve durarci due giorni. |
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E' stata una giornata veramente intensa: dall'emozione di un vero villaggio Penan, alla piroga da spingere, per finire con la sanguisuga... Comunque, eccoci al Camp 5. Abbiamo veramente fame, così attingiamo allo zaino con le provviste per prepararci una cenetta utilizzando la cucina in comune. |
La preparazione della cena al Camp 5. |
E finalmente arrivo il gran giorno della scalata del Gunung Mulu. La sveglia è alle 05:30 perchè bisogna fare una ricca colazione per partire non oltre le 06:30. il nostro spuntino mattutino è alquanto classico: latte e cereali per Vincenzo, del tè con pane e marmellata per me. Guardiamo alquanto allibiti la colazione dei Cinesi che, alle sei di mattina, ingurgitano montagne di riso e frittata! |
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La scalata del Gunung Mulu è stata senza dubbia l'impresa fisicamente più impegnativa della nostra vita. L'abbiamo sottovalutata? Forse un po'. In effetti sulla carta non sembra particolarmente micidiale: si tratta di percorrere 2,4 chilometri in salita nella jungla, con un'elevazione di 1200 metri. Due-virgola-quattro-chilometri sono un'inezia per un maratoneta come me o per un amante della cyclette come Vincenzo. E che ci vorrà mai?!? D'accordo: siamo in salita, siamo nella jungla, siamo con un'umidità del 100%... ma sono solo 2,4 km!!! |
Gli ultimi 400 metri sono davvero tremendi: bisogna arrampicarsi con delle funi, passare lungo dei ponticelli fatti da una trave larga non più di 10 centimetri, fare uso di mani e piedi che finiscono in anfratti dove è meglio non pensare quale animale si potrebbe toccare (si va dai ragni, ai serpenti, agli scorpioni,...). |
Gli indigeni chiamano questo posto anche "Gunung Api", cioè "montagna del fuoco", poichè considerano i pinnacoli come delle fiamme pietrificate dagli dèi. |
In cima al Gunung Mulu restiamo solo pochi minuti; non c'è molto tempo, poichè la discesa si preannuncia altrettanto difficile. E l'aspettativa viene pienamente mantenuta: Vincenzo continua a scivolare, sbattere, inciampare, ma alla fine, stringendo i denti, ce la fa. Siamo gli ultimi a rientrare al Camp 5 e l'applauso che ci accoglie a pomeriggio inoltrato ci fa un po' arrossire, ma va interpretato come il giusto riconoscimento per chi ha compiuto una grande impresa. Davvero grande! |
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Dopo l'esperienza intensa al Camp 5, rifacciamo a ritroso il percorso di due giorni prima: 9 km di jungla (stavolta niente sanguisughe, ma ennesima caduta di Vincenzo nell'unico - dico unico! - montarozzo di non più di 10 metri da superare), ponti sospesi, trasferimento in piroga verso il quartier generale del parco. |
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