Cuba
7 - 29 luglio 2015

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VIÑALES: cuevas y... campesinos

Viñales offre molto al visitatore. A chi si chiedesse quanti giorni sia opportuno trascorrere in questa tranquilla località dell'occidente cubano, io rispondo che almeno tre giorni sono necessari per vedere le cose più importanti.
Il secondo giorno della nostra permanenza a Viñales nel complesso non è niente di eccezionale: noleggiamo un'escursione da uno dei numerosi jineteros, cioè "procacciatori" che si offrono - con varia insistenza - di procurare al turista di tutto (dai trasfermenti in auto ai sigari, dalristorante tipico alla... dolce compagnia) e che si trovano davanti alle agenzie-viaggio statali sulla strada principale.
Per una ventina di CUC visitiamo i dintorni a sud di Viñales, ma l'esperienza non è esaltante: la prima tappa è al "murales de la prehistoria". Non so a chi sia venuta la brillante idea di dipingere con colori sgargianti l'intero costone roccioso di una montagna. Credo che il murales abbia le pretese di un'opera d'arte moderna, ma a noi non dice niente di particolare. Teoricamente a un certo punto si dovrebbe varcare un cancello, il cui ingresso costa 3 CUC a persona. Non è certo una gran somma, ma questi soldi si possono tranquillamente risparmiare perchè il disegno sulla montagna si vede benissimo anche da fuori della recinzione del parco.
Tra l'altro...

... la nostra "nuovissima" Moskovich (la versione sovietica della mitica 124 FIAT) comincia a dare segni di stanchezza. Il nostro gagliardo autista è un ragazzo molto bello: tendente al biondo, sembrerebbe più un tedesco che un seguace di Fidel Castro,... ma, tanto per cambiare, non apre bocca se non per imprecare contro il motore dell'automobile, a suo dire di proprietà del cugino.

La seconda tappa dell'escursione mattutina è al "Mirador de las Flores", un poggio che si innalza sulla Valle di Viñales per un centinaio di metri e che, quindi, consente una vista meravigliosa su tutto il contado circostante.
Dal mirador, cioè dal belvedere, si vedono chiaramente i mogotes che si ergono nella pianura come tanti panettoni con la vegetazione sulla cima che richiama la glassa!
Lo spiazzo in cima al "Mirador de las Flores" ha un ampio parcheggio e un bar/ristorante con prezzi che sarebbero oltraggiosi persino in Italia. Tuttavia i tavolini sono pieni di turisti che, anzichè andare a agironzolare per la campagna citrcostante, gozzovigliano e sono già al ventitreesimo mojito nonostante sia ancora mattina.

Terza tappa: la destinazione è la "Cueva del Indio" (="Grotta dell'Indiano"), un posto che fortunatamente risolleva un po' le quotazioni dell'escursione mattutina che, finora, non si è rivelata particolarmente brillante...

... A dire il vero anche questa fase comincia in modo alquanto rocambolesco: il motore della nostra automobile "proletaria" (si noti il volto di Che Guevara sui fari - foto sotto) continua a fare i capricci fino a... fermarsi del tutto!
L'autista - dopo l'ennesima imprecazione - apre il vano-motore per scoprire che siamo rimasti senza benzina! Io mi arrabbio alquanto, chiedendogli come mai non avesse notato che l'indicatore era a zero. La riposta è cubana al 100%: «Nada trabaja en este carro»; poi mi fa notare che in tutta l'automobile non c'è un solo strumento che funzioni, compresa la levetta della benzina, dato che i pezzi di ricambio non si trovano in nessuna parte della nazione. In realtà se a Cuba circolano così tante macchine d'epoca è perchè dal 1° gennaio 1959 (giorno di successo della rivoluzione marxista-castrista contro il dittatore Batusta) ben poche automobili sono entrate nello Stato, se non dai Paesi socialisti. E dopo il crollo del comunismo nel 1989 neanche da quelli. In pratica i cubani continuano a girare on le stesse macchine da oltre cinquant'anni... E', dunque, da capitalisti pretendere che una lancetta della benzina funzioni!

Siamo a circa 4 km da Viñales, ove c'è l'unico rifornimento della zona: la giornata è bella e non sarebbe la fine del mondo tornare a casa a piedi, ma non vedere la "Cueva del Indio" sarebbe un peccato. L'autista, quindi, estrae una bottiglia di plastica dal cofano e dice che tornerà entro 15 minuti. Io so bene che non potrà riuscirci e glielo faccio notare col cipiglio (che mi riesce benissimo) di chi è arrabbiato, volendo far accentuare il suo senso di colpa. Il tizio giura che ce la farà e va via prendendo al volo la macchina di un conoscente che passava di lì per caso, il che rende il tutto molto Pechino-Express-style.
Io e Vincenzo restiamo in aperta campagna; in realtà non sono particolarmente arrabbiato, perchè la filosofia è quella del siamo-in-vacanza-chi-se-ne frega-tanto-non-abbiamo-nient'altro-di-particolare-da fare! Ne approfittiamo per godere un po' della tranquillità della campagna circostante.
L'autista recupera alcuni litri di benzina e torna dopo 40 minuti, particolare che gli faccio impietosamente e acidamente notare; 'sto tizio non parlava in circostanze normali, figuriamoci adesso, arrabbiato com'è, e difatti non risponde.
E finalmente arriviamo alla "Cueva del Indio", che, peraltro era a un paio di km da dove si era fermata la macchina, il che significa che, a saperlo, ci saremmo potuti arrivare a piedi! Ma lasciamo stare e ci godiamo la bellezza del posto.

Il biglietto per entrare alla "Cueva del Indio" è alquanto caro, ma penso - col senno di poi - che ne valga la pena: la grotta di per sè non è niente di particolare: c'è un sentierino in cemento che toglie persino la sensazione primigenia di camminare direttamente sulla roccia. Tuttavia ciò che rende il posto meritevole è la presenza di un corso d'acqua sotterraneo che percorriamo in barca. In pratica, si entra a piedi da un'estremita del mogote e si esce navigando su una barchetta dall'altra.

Torniamo a Viñales che è da poco passata l'ora di pranzo (frutta). Ma la giornata di oggi è dedicata alle escursioni e così, stavolta con un'auto+autista noleggiati per noi da Juanito, ci dirigiamo a una trentina di chilometri a ovest verso un altro complesso ipogeo: "La Cueva de Santo Tomás".
Stavolta non si tratta di una piccola grotta come nelle precedenti esperienze qui a Viñales: al contrario siamo in procinto di visitare uno dei più complessi apparati speleologici di tutta l'America Latina. Le grotte di San Tommaso occupano un intero gigantesco mogote e si sviluppano su sette livelli. Immaginate una torta con sette strati (la sette-veli?): i turisti possono visitare solamente i due livelli più in alto, cioè quelli più prossimi alla cima piatta del mogote; gli altri più in basso sono accessibili solo a professionisti delle esplorazioni speleologiche.
Compriamo il biglietto (caro: una decina di CUC a testa), ci danno un elmetto che - per noi profani delle esplorazioni sotterranee - ha sempre l'effetto di far calare nella parte di Indiana Jones nel Tempio Maledetto e partiamo con una guida cubana (un ragazzo sui ventotto anni, tappo e cicciotto) e un gruppetto di otto turisti argentini.

A questo punto sono davvero tante le grotte che ci è capitato di visitare. E abbiamo notato che tutte le guide speleologiche che conducono i gruppetti di visitatori a qualunque latitudine hanno una cartteristica comune: tendono a identificare questa o quella formazione calcarea con animali o soggetti del mondo esterno. Anche in questa grotta l'episodio si registra puntualmente: il tappo che ci fa da guida individua profili di leoni, teste di falco e altre fantasie del genere. L'unica che però ci colpisce effettivamente è... "The Mask"!
Io - come al solito - mi attardo a scattare qualche fotografia, e quell'idiota della guida-tappo se ne frega di noi, prosegue dritto senza curarsi che il suo "gregge", peraltro sparuto, lo segua compatto. Finisce che restiamo indietro da soli nella grotta. In lontananza sentiamo la presenza di altri gruppetti di turisti con le rispettive guide, per cui non c'è da preoccuparsi, perchè al massimo basterebbe aspettare che sopraggiungesse il gruppo successivo. Però, tanto per cambiare, mi dà fastidio la superficialità di chi avrebbe il compito di accudirci; così chiamo a gran voce la nostra guida che non sente; un'altra guida mi sente e mi raggiunge, ci porta verso l'uscita e rimprovera sonoramente il collega-tappo, il quale non ci guarda nemmeno e finisce per essere l'unico cubano che non si azzarda a chiederci la mancia!

E' pomeriggio avanazato quando torniamo verso la macchina - una vecchia ma ben tenuta Chrysler che farebbe la gioia di Carmelo a Gioia Tauro!
Il nostro autista, che stavolta è appena appena più disposto a chiacchierare, ci dice che apparteneva a suo nonno, poi è appartenuta a suo padre e ora è in procinto d'insegnare a guidare al figlio, al quale non vede l'ora di consegnarla. E lui resterà a casa a godersi i soldi guadagnato facendo l'autista per i turisti, che non sono pochi: noi abbiamo pagato 15 CUC per l'escursione, il che corrisponde a metà stipendio mensile (in un solo giorno!) di un insegnante di scuola o di un ingegnere!
A proposito della macchina: l'autista ci dice che gli hanno offerto ben 35.000 dollari per la vendita dell'auto, ma lui ha rifiutato!
E, infine, la nota forse più piacevole del pomeriggio alla "Cueva de Santo Tomás":...

E' ora di fare merenda e conosciamo Alejandro. E' un ragazzo formato-cucciolo che vende frutta in un banchetto poco distante dalla biglietteria della Cueva e si mette piacevolmente a chiacchierare con noi. Finalmente qualcuno che ci mostra un minimo d'interesse!
Alejandro ci chiede se siamo Italiani; in realtà, più che una domanda è una sorta di affermazione, perchè tutti capiscono che siamo Italiani, ancora prima di sentirci parlare. Ci racconta che vive da solo col padre, «que es un campesino como yo», e che gli piacerebbe andar via da lì.
Con un sorriso incredibilmente malinconico di chi comprende l'irrealizzabilità di un sogno, ci dice che ha sempre sognato di venire in Italia. Siamo piacevolmente storditi dal suo parlare caratterizzato da un affascinante accento cubano. Continua a raccontarci che quando era piccolo giocava con un compañero che è rimasto il suo migliore amico, fino a quando, un giorno (bello? brutto?) è arrivata alla "Cueva de Santo Tomás" una ragazza italiana che, in neanche mezz'ora di escursione, decide di portarselo in Italia e lì si sono sposati. Io e Vincenzo ci scambiamo uno sguardo senza parole che, però, chiaramente dice: «Mica stupida, la tipa! Trova il bonazzo cubano e se lo porta in Italia!».
Alejandro ci pone una domanda secca, e anche stavolta non comprendiamo se sia effettivamente una domanda o un'affermazione o una considerazione o una speranza, poichè si esprime così: «Y yo podría ir a Italia con vosotros». Così, senza punto interrogativo. Ma lo sguardo è chiaramente inquisitivo, penetrante e carico di aspettattiva. Io e Vincenzo per un pelo non sveniamo.
L'attimo di disorientamento dura... molto più di un attimo. Il mio sguardo incrocia nuovamente quello di Vincenzo: lo vedo a bocca semiaperta, e anch'io mi rendo conto che sono nella stessa condizione di stupore. Mi sembra che noi tre siamo finiti in un vicolo-cieco psicologico e ne esco nel modo più goffo possibile: chiedo all'irresistibile campesino quanto costano le quattro banane e le due noci di cocco che abbiamo appena comprato sul suo banchetto. Di nuovo la risposta mi sconcerta: «Dame lo que quieras». Scombussolato gli do delle banconote. Ancora oggi tutta la scena ondeggia nella mente con un'approssimazione onirica; non ho la più pallida idea di quanti soldi gli abbia dato, ma evidentemente si è trattato di una somma soddisfacente, dato che Alejandro - sui titoli di coda - ci regala altre quattro banane. Alejandro.

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