Cuba
7 - 29 luglio 2015

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L'AVANA

Plaza de la Revolución, con l'immagine da cartolina della silhouette di Che Guevara.

Il Malecón, cioè il lungomare de L'Avana. Di giorno non è molto frequentato perchè non c'è un filo d'ombra. La sera, invece, è il luogo preferito delle famiglie che vengono qui persino con le cibarie a mangiare in una sorta di pic-nic by-night, cercando di godere della frescura della brezza marina.
Qualche settimana prima del viaggio, in bel film a tematica... ambient dal titolo "La partida", avevamo visto che il Malecón è un luogo di ritrovo della comunità gay cubana... Abbiamo cercato in lungo e in largo, percorrendo quasi per l'intera lunghezza il lungomare, senza incontrare se non sporadiche presenze (peraltro ragguardevoli!), per cui non abbiamo capito dove fosse il mitico battuage visto nel film.
Incontriamo, invece, un... "turista-per-caso, del quale riportaimo il suo diario di un'esperienza che merita di essere vissuta a L'Avana e che parla del treno che collega la capitale cubana alla cittadina di Matanzas, un treno col quale... "si sa quando si parte ma non quando si arriva"!

La ferrovia che collega L'Avana a Matanzas è chiamata "el tren del Hershey", dal nome del piccolo paese che attraversa. In effetti Hershey era un imprenditore americano che comprò più di ventiquattromila ettari di terreno coltivato a canna da zucchero, creò uno zuccherificio per la sua lavorazione e una fabbrica di cioccolato.
Come è naturale intorno alla fabbrica è nato anche il paese che appunto prende il suo nome. Avendo necessità di trasportare merci e persone, costruì la ferrovia lunga circa centoquaranta chilometri, che oggi collega le due città.

Quando ho comunicato, ai miei amici cubani, il desiderio di fare un viaggio in treno, la voce che si è sollevata all'unisono era unica: «Non farlo, è scomodissimo e poi non si sa quando parte e neppure quando arriva, se arriva. E tutti a mimarmi, come in una commedia, il verso del treno: arracca, arracca arracca, tutuuuu, tutuuuu, e poi si ferma sempre perché si rompe, e se manca la corrente proprio quando sei nel bel mezzo della campagna?»
Non avevano capito che tutto questo era per me solo un invito per intraprendere quest’avventura cubana, e così è stato.

Prendo la lancita per Casa Blanca, uno strano ammasso di ruggine galleggiante che attraversa la baia di Avana, dove, prima di salire, un poliziotto solerte svuota tutto il contenuto dello zaino su di un tavolo per controllare rigorosamente l’assenza di coltelli, pistole e bombe a mano, poi vieni fatto passare al metal detector, finalmente ti puoi mettere in coda per salire. I controlli dell’aeroporto sono meno minuziosi, ma purtroppo, in passato, qualche folle ha pensato di raggiungere la lontana America con quel mezzo e ci sono stati morti e feriti, da quel giorno i controlli sono ferrei.
Dopo un breve viaggio, arrivo alla stazione di Casa Blanca, definirla stazione è un eufemismo: lungo la strada, tra le case scorrono due binari, che, contrariamente alle usuali normative ferroviarie, non sono poi tanto paralleli e posti sullo stesso piano; su questi binari staziona uno strano essere di ferro putrefatto che viene chiamato treno.

L’impatto devo ammettere è molto duro, non riesci a capire se quello è un museo dove la macchina viene messa in esposizione o il mezzo che ti deve portare a destinazione.
Prima domanda, ma si muove anche? Due operai mi guardano, notano la mia aria stupita o stupida e mi dicono: «No te preoccupe: el ferrocarril ultimamente se sta comportando bastante bien». Nel frattempo un tecnico delle ferrovie aveva tirato una corda di canapa con un gancio sul pantografo e si stava penzolando come Tarzan, lanciando strani grugniti, stava cercando di far salire il pantografo fino a toccare i fili della corrente, elemento necessario per far avanzare il treno. Il problema era, che, essendo il pantografo completamente arrugginito ad ogni salto scendeva a terra una montagna di ruggine ma il pantografo non saliva; comunque alla fine si è arreso (il pantografo) ed è salito.
Due operai stavano tirando feroci martellate a non so che cosa sotto al treno. Parlavano in un cubano incomprensibile, o forse erano solo parolacce; intuivo che era la lotta quotidiana dell’uomo contro il pezzo da museo che si rifiutava categoricamente di muoversi. Finalmente parte, da solo senza passeggeri, percorre cento metri ma torna subito al punto di partenza, qualche habitué dice che era andato a prendere un pezzo di ricambio. Riparte di nuovo, questa volta percorre circa duecento metri, si ferma davanti alla farmacia, che naturalmente era situata sulla strada, e quindi sulla ferrovia, essendo la stessa cosa, carica due bombole del gas per cucinare, e ritorna alla stazione.
Solo ora i passeggeri possono salire e accomodarsi su assurdi sedili di plastica rigida con l’intelaiatura di ferro, salgo, mi guardo intorno, su tutta la carrozza esiste una sola lampadina, forse perché si viaggia di giorno, il bagno non esiste, dal pavimento si possono tranquillamente osservare i sassi della strada, tali e tanti sono i fori presenti nella lamiera per la ruggine.

Mi affaccio dal finestrino: sopra di me, sulla collina, si erge la statua del Cristo che mi guarda a braccia aperte; non ho capito se è un augurio o un consiglio di scendere prima che sia troppo tardi, comunque il treno comincia a muoversi.
Gli inizi sono tragici: le rotaie non si vedono, sembra che si muova sulla terra. Si passa vicinissimi alle case, tra il tetto e il treno ci sono solo pochi centimetri. Se piove, penso, l’acqua del tetto delle case cade direttamente dentro i finestrini aperti del treno. Rubo vergognosamente attimi di vita privata, è un’umanità povera quella che vive in questi ambienti, gli stanchi colori dei vestiti messi ad asciugare al sole ne sono una triste testimonianza. L’unico oggetto di modernità che si può scorgere dentro le stanze delle case è il frigorifero; ti domandi cosa ci può essere dentro. Il treno si ferma nuovamente, siamo alla periferia di L'Avana, i meccanici scendono, armati di martello, cominciano a battere furiosamente sotto il treno, si aprono le porte, diversi pezzi di ferro vengono buttati sul pavimento con rabbia, forse non servivano, si chiudono le porte, il treno riparte, i pezzi di ferro ci faranno ingombrante compagnia per tutto il resto del viaggio.
Il treno comincia il suo lento viaggio dentro la campagna cubana; è un paesaggio completamente diverso da quello che si può ammirare lungo la strada o in prossimità del mare, è la vera cuba, quella fatta di una campagna non coltivata, dove le piante del marabù, con le loro abbondantissime spine, hanno invaso tutte le zone pianeggianti rendendole impraticabili a qualsiasi uomo o animale. Non ci sono strade asfaltate, solo strade bianche percorse raramente da qualche calesse trainato da un cavallo. Le case sono di legno, misera dimora dei campesini, alcune sono in un equilibrio precario, pericolosamente inclinante da un lato, nella più completa assenza di manutenzione, ho dei dubbi che il tetto possa proteggere dall’acqua, fa solo ombra; comunque il patio davanti alla casa, anche se è in terra battuta, e sempre pulito e ben curato. Solo i più fortunati hanno un filo della luce che arriva fino alla casa, nelle altre, l’illuminazione è ancora a petrolio, per l’acqua, non ci facciamo domande. Nelle abitazioni più evolute si scorge, a una sufficiente distanza dalla casa, un piccolissimo gabbiotto in legno, è il bagno. Intorno alle case, i naturali mezzi di sostentamento, un maiale, qualche pollo, i più ricchi hanno anche una vacca. Fuori gli immancabili panni stesi al sole, i vestiti sono lavati quotidianamente, il cubano è per carattere una persona pulitissima. Vera Cuba o vera disperazione, non so rispondere.

Arriviamo a Santa Cruz, sede, una volta una gigantesca fabbrica per produrre zucchero, vera e falsa ricchezza del paese. Vera in quanto è l’unica risorsa di cui dispongono, falsa in quanto quasi tutta la produzione era comprata dai russi a prezzi decisamente maggiorati rispetto a quelli di mercato. La ditta, chiusa dal 2002, è ormai un fantasma le cui strutture completamente arrugginite e pericolosamente cadenti formano strani giochi di luci e ombre contro il cielo azzurro.
Il treno continua ad avanzare lento sulle rotaie, sono talmente disallineate a causa dei cedimenti della massicciata che sobbalziamo in continuazione da destra a sinistra. Sono scossoni talmente forti che puoi solo stare a sedere, e il passaggio da una carrozza all’atra diventa un rodeo riservato solo ai più giovani.
Ogni tanto si ferma in corrispondenza di una piccola costruzione che serve solo da riparo dal sole o dalla pioggia, sono le stazioni di campagna. In fondo, questo numero infinito di soste, quarantasette nel tratto che collega Avana a Matanzas, permette agli abitanti di queste zone di avere un collegamento con la città. Il treno è l’unico mezzo per andare in città a comprare i generi necessari alla vita quotidiana e che la campagna non produce. Il treno è l’unico mezzo per andare al lavoro o a scuola.
Ad ogni stazione c’è gente che scende e gente che sale, spesso non si capisce dove possono andare, sono soste in aperta campagna e non ci sono case, non ci sono strade, gente che sale con sotto braccio il copertone nuovo di un’auto, o pesanti sacchi di riso che per un cubano rappresenta il cibo quotidiano. Ad un certo punto il macchinista fa suonare insistentemente il fischio del treno, una vacca, all’insegna che l’erba del vicino è sempre più verde, sta sonnolentemente attraversando i binari, incurante di tanto fracasso.

Il capotreno passa con i generi di prima necessità, in sintesi sta vendendo ad un dollaro l’uno, i due panini con il prosciutto cotto che la moglie gli aveva sicuramente preparato, e, se uno ha sete c’è anche una lattina di Coca sempre ad un dollaro. E’ tutto quello che il treno offre.
Sosta familiare, il treno si ferma vicino ad una casa costruita in prossimità della ferrovia, scende il macchinista, bussa alla porta, scarica le due bombole del gas che aveva caricato alla partenza, un piccolo bacio alla fidanzata, e si riparte, anche questo, per me , fa parte del panorama ed è in fondo bello. Ad un incrocio con una strada che sembrava asfaltata, ho visto un semaforo umano; in prossimità dell’incrocio il treno rallenta quasi a fermarsi e dal nulla compare una donna, munita di regolare cappello ferroviario, che sventola due bandiere, una rossa e una verde, facendo strane segnalazioni, sembrava di essere all’aeroporto quando atterra un jumbo, effettivamente intimava l’alt ad un carro trainato da uno stanco cavallo che a mio avviso era estremamente felice di fermarsi per riposarsi un po’.
Arriviamo finalmente a Matanzas, non voglio sapere quante ore abbiamo impiegato, ma sono felice, ho visto l’altra Cuba. Il treno, in prossimità della stazione, deve ulteriormente rallentare, attende che mamma capra con la sua famiglia si allontani dai binari, in fondo quella è la loro casa e noi siamo degli usurpatori. Fine del viaggio.

Informazioni per eventuali viaggiatori:
Quando parte il treno: ci sono 3 corse giornaliere, si consiglia quella che mediamente parte verso le 11,00… circa.
Quanto costa: solitamente meno di un CUC, dipende se avete la faccia da turista o no.
Servizi a bordo: nessuno, ma a metà strada si ferma in una stazione per circa 15 minuti permettendo alla gente di scendere e di rifocillarsi.
Come si torna all’Avana: chiedendo un passaggio sul lungomare agli autobus di linea che vanno da Varadero all’Avana, se siete fortunati in circa un ora lo trovate.

Io e Vincenzo non prenderemo il treno per Matanzas. Per quanto questo raccontino del turista-per-caso Maurizio ci abbia affascinato, il fuso orario non è ancora stato smaltito. In fondo staremo a L'Avana solo due giorni e mezzo, per cui decidiamo che è meglio concentrarsi su quanto di caratteristico ha la capitale, per evitare di stancarci troppo, dato che la vacanza è appena agli inizi.
Tra l'altro la nostra prima notte alla Casa Cristo Colonial non è stata molto riposante per il caldo soffocante (data la mancanza di una finestra) e per la musica della festa del battesimo fino a tarda notte. Ah, per inciso, il proprietario ci aveva promesso una fetta di torta, ma mai promessa fu più disattesa!
La mattina dopo teoricamente la cucina sarebbe chiusa e quindi non c'è nemmeno la colazione; tuttavia, chiedo a Jeiver se possiamo avere un po' di frutta e del latte, la qual cosa arriva senza eccessivo ritardo. Ma della torta non c'è traccia, per quanto la parte avanzata dalla festa della notte prima occupi i due terzi del frigorifero!

In teoria abbiamo prenotato tre notti alla Casa Cristo Colonial, ma è ovvio che non possiamo restare un minuto in più in quell'asfissiante stanza priva di aperture sull'esterno, così mi rivolgo ancora una volta a Jeiver chiedendogli se può spostarci in un'altra stanza vicina al balcone, molto più fresca. Effettivamente sarebbe la stanza del bambino appena battezzato (che ha almeno quattro anni) e temo che la risposta sia negativa, invece Jeiver acconsente alla nostra richiesta, sentendosi decisamente in colpa per l'eccessiva caciara della notte precedente. E' consapevole di aver un po' esagerato e ci chiede scusa. Finiamo poi per chiacchierare del più e del meno, e ci spiega il sistema della "tessera", che tutte le famiglie cubane possiedono e che dà loro diritto ad avere il cibo econdo porzioni razionate decise dal governo. Esattamente come succedeva da noi, in Italia, durante il periodo fascista.
Comunque riduco da tre a due le notti di permanenza in questa pur bella casa particular, anticipando la nostra partenza per Viñales, nell'ovest di Cuba.

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