ABU DHABI

THAILANDIA
&
CAMBOGIA

8 - 29 dicembre 2013

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BENG MEALEA

LETTERE DALLA KAMPUCHEA 15: MANGHI MATURI.
Oggi lascio l'area di Angkor per godermi il Benteay Srey, forse il tempio più raffinato della Cambogia. Anche se sono solo le sette del mattino l'aria calda arriva a zaffate, fastidiosa come colpi di phon dati con distrazione da un parrucchiere ubriaco, quando i capelli sono già asciutti. Andiamo verso colline lontane ed i piccoli gruppi di capanne che sfilano lungo la strada sono sempre più miseri ed essenziali. Nei grandi orci disposti intorno ai muri di foglie secche di palma, un residuo di acqua piovana verdastra, segno che la stagione secca è al suo culmine. Anche se di tanto in tanto si addensano masse minacciose di nuvole nere, il cielo non è ancora disposto a lasciarle sfogare, a consentire che l'acqua scorra a torrenti per ridare vita e speranze ai campi bruciati, alle gole arse.

Si sente lontano, qualche tuono, mendace segnale di una promessa che anche oggi non sarà mantenuta. Il tempio isolato nella jungla è l'ennesima scoperta, rosso di pietra corrosa dal tempo, circondato da un fossato ormai trasformato in scarna palude in cui i loti sbocciano con fiori bianchi e violetti. Sono come al solito solo ad inoltrarmi nel sentiero che conduce al basso portale d'ingresso; un guardiano assonnato, mi controlla di malavoglia il biglietto e finalmente posso fare un giro attorno ala cinta muraria da cui si godono splendide viste del complesso.

Entro dalla porta nord, dove la consueta orchestrina di invalidi da mina, la cui presenza mi suggerisce che non rimarrò solo a lungo, comincia un concerto personalizzato per il suo unico spettatore. Non posso sottrarmi e lasciato il consueto obolo, entro tra i muri cadenti e cammino nei cortiletti ricoperti di piccole costruzioni. Tutta la costruzione è estremamente armoniosa e proporzionata. La parte centrale poi, è anche completamente leggibile e completamente conservata. I fregi che ricoprono le facciate, i frontoni, gli stipiti e gli architravi sono di tale raffinatezza da farti rimanere a lungo davanti ad ognuno, per poterli apprezzare, con calma, in questa luce fantastica che colora tutto di arancio scuro. Le volute complicate delle foglie e dei rami si intrecciano in modi complessi; le divinità raffigurate, nelle loro posizioni più stereotipate, ma ricche di dettaglio, impressionano per la loro accuratezza. Hai voglia di fermarti a lungo, scambiando solo il tuo respirare corto con quello più disteso e pieno della foresta, dalla quale viene una continua serie di rumori, di sbattere d'ali, di grida d'animali. Rimango ancora, seduto davanti ad un lingam imponente circondato ancora dai residui delle devozioni, finché non arriva un gruppo di giapponesi a spezzare l'incanto e a ricordarmi che comunque bisogna andare.

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