CALIFORNIA
USA
15 luglio - 7 agosto 2014

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LOS ANGELES: Fernwood Ave - Silver Lake (1/2)

La nostra conquista del west, iniziata nel 2006 col viaggio in Colorado, Utah e Arizona, prosegue quest'anno in California, l'ideale punto d'arrivo dei pionieri che attraversano tutti gli Stati Uniti da est a ovest, all'inseguimento dell'American dream!
Quest'anno l'offerta più conveniente per attraversare l'Atlantico è quella della Air Canada. Voliamo da Roma a Montreal e da qui proseguiamo verso Los Angeles. Un gran colpo di fortuna fa sì che i posti in economy class siano già esauriti al momento del nostro check-in a Fiumicino, per cui ci piazzano in business class (!) e viaggiamo stupendamente.

Per quanto più comodo delle altre volte, il viaggio è comunque lungo. Arriviamo a Los Angeles un po' stanchi e non vediamo l'ora di giungere a destinazione: Hollywood.
All'uscita dell'aeroporto prendiamo un "Supershuttle", un furgoncino che funziona come taxi collettivo. Il colmo è che l'autista tailandese non riesce a trovare subito l'indirizzoche gli ho fornito. Scarica tutti gli altri passeggeri, e poi comincia a girare in tondo in cerca di 3534 Fernwood Ave, che è la casa di Uli e Gabrielle ove resteremo sette giorni. Finisce che devo essere io (!) a dare indicazioni al tassista disorientato su che direzione prendere (ecco a cosa serve studiare bene le cartine); è ovvio che può scordarsi la mancia!


Uli.

Tamra.


Tamra, Vincenzo e Yvonne.

Finalmente a casa! E che casa! Uli e Gabrielle - due artisti di origini tedesche - vivono in un posto alquanto singolare. Non esistono vere e proprie stanze, ma l'interno è una sorta di unico ambiente pieno di oggettini etnici (soprattutto d'origine indiana) e di mobili o quadri realizzati da Uli. Non ci sono porte, ma spesse tende navajo; persino le pareti del bagno sono costituite da vetrate timidamente schermate da tende sottili.

La camera da letto ricorda un po' la soffitta di Pippo e ci si può trovare di tutto: dalle sempre affascinanti biglie di vetro a un trattato sulle arti magiche degli Apache. Ovunque c'è la svastica, e il fatto che i padroni di casa siano tedeschi è un po' inquietante. Tuttavia, le conversazioni con Uli evidenziano una natura alquanto liberal e incline alle dottrine orientali, per cui ritengo che la croce uncinata più che un richiamo al nazismo voglia essere un simbolo induista.
Dal canto suo, Vincenzo, poco si cura di Siddharta o Nietzsche: a lui più che un "segno" indù, interessa il "segnale" del telefonino. Se la sua faccia gòngola, allora vuol dire che è possibile un collegamento wi-fi che gli permette di parlare gratis con Annamaria; se la fronte, invece, è "pasquina" allora sono guai.

L'esterno della casa è altrettanto sconcertante: siamo a Hollywood, e si potrebbe pensare a un ambiente metropolitano caotico e rumoroso. Non è così: la casa è circondata da una folta vegetazione che la nasconde alla vista di chi transita dalla strada, peraltro molto tranquilla. Inoltre, tra palme, bambù, limoni e bouganvillee, l'atmosfera è resa ancora più magica da tempietti scintoisti o da fontanelle canterine.
Il contesto è molto "Herman-Hesse",... proviamo il gioco delle perle di vetro?

Di notte, poi, c'è una pace assoluta. Gli unici rumori sono quelli dei simpatici animaletti che popolano questa zona piena di verde, tra i quali ci sono i procioni. Ogni notte ne abbiamo sentito camminare uno sul tetto, e una sera, prendendo una tisana a casa di Tamra, lo abbiamo anche visto, con gli occhietti furfantelli e simpaticissimi. Poi una sera - in un momento di particolare silenzio, dopo essere andati a letto da una mezz'ora - si sente una vocina nel buio: "Lino?"
"Sì, Vincenzo, che c'è?"
"Hai chiuso la finestra del bagno?"
"No, perchè?"
"E se entra il procione?"
Sempre coraggioso il mio Vincenzo!

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