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SINGAPORE

Partiamo per l'Australia con la consapevolezza che il viaggio non è proprio una gita fuori porta: alla fine saranno ben nove fusi orari in avanti, così progettiamo una tappa di avvicinamento a Singapore che è un po' oltre... "metà strada", cioè "appena" sei fusi orari ad est.
Arrivare a Singapore, però, si dimostra un'impresa ardua sin dai primi istanti del viaggio: il nostro volo Alitalia Reggio Calabria-Milano parte con oltre due ore di ritardo e così perdiamo la coincidenza per Amsterdam, da dove un volo diretto avrebbe dovuto portarci a Singapore. A Linate l'impiegata dell'Alitalia prova e riprova varie combinazioni per rimediare all'imbranataggine della collega di Reggio Calabria che avrebbe dovuto sapere in partenza che avremmo perso il volo per l'Olanda: Singapore-via-Parigi con Air France? No, gli ultimi due posti sono stati appena presi; Singapore-via-Francoforte con Luftansa? No, è già partito;... Bingo! Andremo a Singapore con Air China via Pechino, ma... c'è un piccolo particolare: dobbiamo tornare a Roma! (vedi cartine dei voli)

Vincenzo non è particolarmente entusiasta di viaggiare con Air China, immagino perchè associ la compagnia all'idea di tutto quanto provenga dalla Cina che notoriamente è... a-buon-mercato (cioè, di scarsa qualità): solo che se ti si rompe un paio di scarpe made-in-China che hai pagato «tledici eulo», chi se ne frega! Se ti si rompe un motore dell'aereo mentre ci sei dentro e magari stai mangiando un involtino primavera,... be', non è proprio la stessa cosa!
Il volo, invece, è molto confortevole: il cibo è quello dei ristoranti cinesi e ci sono una cinquantina di film e programmi da poter visionare. Arrivati a Pechino ci misurano la febbre in un clima da guerra batteriologica (passa col mouse sulla foto di sinistra): i nipotini di Mao-Tse-Dong temono l'influenza del virus H1N1 e io non oso pensare a cosa sarebbe successo se avessi avuto uno dei miei attacchi d'allergia!

Arriviamo a Singapore con oltre otto ore di ritardo: è l'una di notte passata, per cui con un taxi andiamo direttamento in albergo, saltando la cena: del resto tra pasti a bordo, fusi orari e coincidenze perse non capiamo più che ora sia.
Alloggiamo in uno splendido albergo: è l'Atrium del'Holiday Inn che ho prenotato dall'Italia, incoraggiato dalle recensioni di TripAdvisor.com e, in effetti, la scelta è ottima.

La nostra stanza è al ventesimo piano: non è grandissima, ma il letto è molto comodo; c'è un piccolo particolare, però: siamo ai tropici e c'è un piumone spesso quanto un dizionario di latino! Il bello è che esso è parte integrante del lenzuolo, della serie: o dormi scoperto, o col piumone! Ma dico: siamo ai tropici, fuori ci sono 30°C e mi mettono un piumone?

Chiamo la reception per farmi portare un lenzuolo e - colpo di scena! - non ne hanno; la loro teoria è del tipo: hai l'aria condizionata? Usala e infilati sotto il piumone!
Io non demordo: chiedo, dunque, che ci portino un lenzuolo "di quelli di sotto" e il problema è risolto. Good night!

Il nostro primo mattino in terra d'Asia è alquanto grigio: il cielo di Singapore è in effetti quasi sempre coperto da nubi che accrescono il senso di umidità e di afa, per molti soffocante, per me - com'è ormai risaputo - piacevole.
La colazione all'Atrium è un vero trionfo: c'è il meglio della cucina internazionale: dalle crêpes al risotto, dallo stufato di manzo alla macedonia di frutta, dai fagioli allo yoghurt, dai won-ton cinesi al vapore alle torte-stile-Nonna-Papera. Ovviamente per Vincenzo c'è l'immancabile latte e caffè!


Che emozione! E' il momento della nostra prima passeggiata alla scoperta di Singapore! La metropoli è servita da una metropolitana molto efficiente, ma non la prenderemo mai: viaggiare underground sarà pure più veloce, ma impedisce di vedere lo spettacolo che offre la città!
Singapore è considerata un po' la "Svizzera" dell'Asia, una specie di "Zurigo con gli occhi a mandorla"! In effetti è così per vari motivi: il primo che forse è più evidente è la presenza di tante etnie diverse. La principale è certamente quella malese; poi c'è quella cinese, seguita da quella indiana...

La multietnicità si riflette nelle religioni: qui a Singapore se ne professano di tanti tipi, ed è interessante iniziare la scoperta della città partendo dai tanti luoghi di culto esistenti.
Il nostro hotel è ai margini di Chinatown; la cosa strana però è che, appena entrati nel quartiere cinese troviamo due templi che hanno poco a che fare con la Cina: il primo è la Jamae Mosque, una moschea islamica. E' anche chiamata la "Chulia Mosque", per il fatto di essere stata edificata dalla minoranza etnica indiana Tamil-Chulia ai primi del XIX secolo.

Per entrare nella moschea dobbiamo toglierci le scarpe; per giunta a Vincenzo - che indossa dei pantaloni corti fino al ginocchio ma ugualmente considerati poco hijab (cioè poco "decenti") - fanno indossare una palandrana che gli conferisce un aspetto più consono al luogo. Si può immaginare come Cucciolo sprizzi d'entusiasmo all'idea di dover vestire un caffetano che chissà quanti altri hanno già indossato... Però, che importa: abbiamo fatto tutte le vaccinazioni, e via!

Accanto alla Jamae Mosque c'è un tempio indù, a testimonianza della civile e pacifica convivenza ddegli abitanti di Singapore. Il tempio si chiama Sri Mariamman, e anche in questo caso è d'obbligo togliersi le scarpe. A differenza della moschea, però, qui le calzature vengono lasciate accanto al muro sul marciapiede esterno: in pratica a portata di mano (o di... piede) del primo che passa. Mi rendo conto che... il timore che mi freghino le mie scarpe nuove New

Balance è un pensiero così materialista che contrasta con lo spirito indù così distante dall'attaccamento alla realtà terrena, e me ne vergogno un po'. Spero solo che la dea Visnù non lanci un fulmine e m'incenerisca! In effetti, il pericolo c'è: infatti, il tempio Sri Mariamman è dedicato...

... alla divinità femminile Mari il cui nome nella lingua dei Tamil significa "pioggia", il che fa presupporre che con i fulmini questa simpatica dea c'entri qualcosa!
L'architettura del tempio è molto spettacolare: il varco d'ingresso è sormontato da una struttura a forma di torre che si chiama rajagopuram, dove una serie di divinità dell'affollato pantheon indù si ergono a difesa del tempio.

L'interno è affrescato in modo molto variopinto, con delle immagini erotiche che fanno parte della cultura indiana. E' in corso una cerimonia, durante la quale, al suono di tamburi e strani strumenti a corda dal suono stridente, un monaco vestito d'arancione compie dei strani rituali in fondo a una stanzetta buia il cui interno non si distingue bene. E' il sancta sanctorum dove nessuno può entrare se non quel monaco che viene in sogno espressamente autorizzato dalla dea ad entrarvi.
Non riusciamo a scorgere esattamente cosa raffiguri la statua sull'altare, ma immaginiamo che si tratti della dea Mari. Il monaco, in modo ossessivo e ripetitivo, getta sulla statua prima della farina di cocco, poi del latte, poi del succo di mango (che peccato!), e poi di nuovo farina-latte-mango, intervallando le varie aspersioni con delle secchiate d'acqua e col passaggio di una torcia attorno al volto della malcapitata dea...

Oltre all'altare centrale, ci sono tanti altarini laterali, tra i quali quello della dea Draupadi, seconda per importanza tra le divinità adorate all'internmo del tempio, la quale ha un ruolo primario in una cerimonia che si tiene tra ottobre e novembre, quando i monaci camminano sui braceri ardenti.
Tuttavia, per quanto le dee Mari e Draupadi siano importanti, un fedele devoto, prima di ogni funzione deve rivolgersi al dio Sri Vinayagar, signore degli inizi ed eliminatore degli ostacoli, con offerte e doni di frutta o corone di fiori.
Sarebbe bello restare e imparare a conoscere tutte le varie divinità raffigurate nel tempio, a cominciare dai mariti di Draupai, ma Singapore ha molto da offrire, così,...

... dopo un'ultima rapida occhiata alle statue e alle decorazioni che adornano il perimetro esterno del tempio, lasciamo Sri Mariamman, ripromettendoci di tornare.

Continua il viaggio