ABU DHABI

THAILANDIA
&
CAMBOGIA

8 - 29 dicembre 2013

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SIEM REAP

Garuda. Garuda dalle grandi ali d' argento incombe su di me. Non riesco a resistere, anche se vorrei, anche se per un po' mi piacerebbe rimanere ancora in questa terra carica di sensazioni spesse, di odori pesanti, di realtà dura ma esaltante. Certo, quando arriva l'ora del ritorno, e' sempre la stessa storia, si vorrebbe rimanere ancora un poco, perché manca questo o non si é ancora visto quello. Ma il grande uccello degli déi non ha pietà di nessuno. Pigola con la sua voce chioccia che esce da strani fori del soffitto e ti chiama con voce suadente se pure imperiosa, non puoi rifiutarti di percorrere adagio secondo un rituale prestabilito e ben conosciuto, il cammino tortuoso che ti porterà nelle sue viscere accoglienti come un ventre materno. Un ventre gelido, in cui rimanere per un tempo non percepibile, che sembrerà il tremulo scorrere di una sola notte, ma che, con la furia di un fuoco magico e potente, mi scaraventerà così lontano in uno spazio-tempo indefinibile, da percorrere in mesi, forse anni di lungo cammino. Un buco temporale, inseguendo il tramonto per raggiungere l' alba, prima di quanto il corretto scorrere del tempo le conceda di arrivare, per ritrovarmi nel chiarore dell' aurora invece che nella tenebra, come dovrebbe essere, quando il ventre dell' uccello divino si aprirà per ridonarmi alla vita reale, diversa da quella che sto vivendo ancora per un poco. Proprio adesso che mi era passato tutto, il raffreddore, la tosse, il resto. Mah, non ce n'è mai una che va bene.

LETTERE DALLA KAMPUCHEA 1: IL RITORNO.
Son tornato. Una ventina di ore fa ero dall'altra parte del mondo, ora son qui che non aspetto altro che di stramazzare nel letto. Vorrei buttar giù torrenti di parole, scaricare nella Usb automaticamente un profluvio di sentimenti che montano dentro di me, che bello sarebbe collegare un filo e cliccare Invio, (chissà dove sarà la presa?) ma ho paura di farmi trascinare dalla foga, dal troppo entusiasmo, come un bimbo che arrivato da scuola vuole raccontar tutto di corsa alla mamma e tra frasi smozzicate e troppe cose da dire, non riesce ad esprimere un pensiero completo. Troppe immagini, troppe sensazioni. Bisogna lasciare scorrere il tempo, lasciare sedimentare almeno un po' il ricordo per ricavarne delle sequenze comprensibili, che abbiano un senso, che definiscano almeno a grandi linee quello che hai visto, che hai sentito, quello che credi di aver capito.


E' sempre la solita storia. Come diceva, mi sembra, Biagi, se vai in un posto per una settimana, quando torni ci scrivi un libro, convinto di aver capito tutto, se ci stai un mese, ci scrivi un articolo, con qualche dubbio in più, se ci stai un anno, sì e no ti viene qualche frase piena di perplessità. Io in Cambogia ci sono stato due settimane, ho cercato di capire, di lasciarmi penetrare dal mondo che mi circondava, lasciandomi andare al ritmo lento della vita del posto, senza la furia autodistruttiva del turista che deve seguire un gruppo che ha i suoi ritmi obbligati, e cercherò quindi nei prossimi giorni di fare un reload completo per riversarvi tutto quello che ho sentito. Sospendo quindi ogni altro argomento temporaneamente, anche se ho notato che in questi giorni di mia assenza, benché vi avessi lasciato nelle mani sicure del mio sostituto, le visite sono drammaticamente calate. Infedeli. Sentivate dunque così pesantemente la mia assenza? Va bene, non voglio indagare.

Comunque tanto per lanciare un primo argomento di riflessione, ripeterò un classico luogo comune: niente è mai come ce lo si aspetta o per lo meno le sfumature sono sempre diverse. Infatti, diciamolo forte, non ho visto neanche una zanzara. Ma come, mi sono procurato il meglio Autan, versione speciale rinforzata, che solo a vederlo le avide bestiole fuggono, e non ho dato neanche uno spruzzo; mi sono imbottito di pillole di vitamina B che fanno puzzare a tal punto che l'insetto schifato fugge lontano e loro, neanche si degnano di presentarsi? Avevano paura che le mangiassi? E meno male che non ho preso il Lariam, anche se qualche gufo mi mostrava la cartina affogata nel peggio delle zone malariche. E non ho visto neanche una mina, solo i cartelli che dicevano che quel pezzettino di terra era stato sminato l'anno scorso o due anni fa. Però ho visto un sacco di gente senza gambe o senza braccia. Incidenti sul lavoro?

Stamane mi sembra di avere le sinapsi un po' meglio collegate tra di loro, quindi tentiamo di dare un senso a questo viaggio che potremmo definire come una presa di conoscenza di una realtà che desideravo toccare con mano, in un' area del mondo che mi interessa particolarmente e di cui avevo solo sentito dire. Intanto precisiamo che tutto è nato per casualità. Un amico, voi direte il solito pensionato che non ha niente da fare e che invece il da fare se lo va a cercare, impiega una parte del suo tempo cercando di dare una mano a chi ha bisogno e così mette a disposizione le sue conoscenze professionali per aiutare la Cambogia in uno dei suoi problemi più critici, quello dell'acqua. Ha già collaborato alla costruzione di due acquedotti e alla fornitura di innumerevoli pozzi che consentono a famiglie che disponevano solo del liquame fangoso dei fiumi e delle paludi attorno a casa, oltre a quella che cadeva dal cielo, di poter avere a disposizione dell'acqua dignitosamente pura che, da controlli effettuati, ha ridotto considerevolmente i problemi delle infezioni gastrointestinali ad alcune decine di migliaia di persone. Non mi sembra una cosa da poco, invece, magari di andare a giocare a bocce.

Però questo tipo di persone non amano neanche parlarne troppo di queste cose e quasi con ritrosia, ti raccontano, sollecitate, dei risultati ottenuti e dei progetti futuri, che con tanta fatica cercano di mandare avanti; son fatti così, le cose le fanno invece di raccontarle. Così quando mi ha detto che per la tredicesima volta in otto anni tornava laggiù per delle verifiche all'ultimo progetto e per istruire gli addetti ai controlli sulla qualità delle acque, ho approfittato per accompagnarlo, come turista al seguito, con una certa invidia per chi le cose le sa fare, da parte di chi, come me invece, ha campato solo raccontando chiacchiere. Il gioco delle parti si è nuovamente riproposto. Lui è andato a lavorare, mentre io, come al solito, me ne sono andato a zonzo per il paese, senza la pressione di un giro organizzato a date fisse, col desiderio di esplorare per capire, cosa che è sempre al centro del mio interesse.


ANGKOR WAT

Viaggiare in questo modo è sempre gradevole perché ti permette di cogliere, da un piano per così dire paritario, gli aspetti anche meno appariscenti di un paese, quelli che traspaiono solo se ti siedi sul pullman insieme ai monaci che vanno ad una festa o se vai a comprarti la frutta al mercatino dietro la guesthouse, stando seduto al mattino al tavolo di un localino a mangiarti una scodella di noodles mentre la vita ti scorre attorno, i bambini in divisa vano a scuola, i motorini carichi di polli e maiali, vanno al mercato, la città si mette in moto a poco a poco.

Il problema di aprile è il caldo opprimente, avremo modo di parlarne nei prossimi giorni. Il sole a piombo ti soffoca con l'umidità che appiccica la pelle ai vestiti, ti secca la gola e ti toglie le forze, quando cammini a fatica, cercando riparo nelle ombre corte del tropico. La polvere della stagione secca, gli odori forti che la temperatura accentua ti vogliono dare un senso di disagio, che però tende a diminuire se tenti di assimilare e di sintonizzarti col ritmo della vita locale.

Viaggiare in questo modo è sempre gradevole perché ti permette di cogliere, da un piano per così dire paritario, gli aspetti anche meno appariscenti di un paese, quelli che traspaiono solo se ti siedi sul pullman insieme ai monaci che vanno ad una festa o se vai a comprarti la frutta al mercatino dietro la guesthouse, stando seduto al mattino al tavolo di un localino a mangiarti una scodella di noodles mentre la vita ti scorre attorno, i bambini in divisa vano a scuola, i motorini carichi di polli e maiali, vanno al mercato, la città si mette in moto a poco a poco.

Muoversi come loro, adagio, cercando di scacciare il senso di fastidio per un clima che è quello che è, a cui bisogna lasciarsi andare. Allora pian piano, ci si adatta e si viene assimilati dal sud-est asiatico; anche mentalmente ci si dispone meglio ad accettare quello che ti circonda, trovandolo naturale. Ecco perché la gente, ti appare tutto sommato serena, indipendentemente dalle condizioni in cui vive. Phnom Penh è chiaramente una capitale periferica, bloccata per decenni dalle cose di cui parleremo e che da poco si dibatte per seguire la strada percorsa dai suoi vicini, con tutti i problemi che questo sviluppo porta, assieme naturalmente alla parte positiva. Così sei circondato da un allegro caos privo di riferimenti, in un traffico a cui devi abituare i comportamenti, altrimenti non riuscirai mai ad attraversare la strada, nella folla tranquilla che ti circonda e da cui ti devi fare assimilare se non vuoi trovarti a disagio. Così è cominciato il primo giorno di un viaggio per caso, che neanche la cenere del vulcano è riuscito a impedire.

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